di Anna Rosa Cianci
Le guerre, i conflitti, gli attacchi terroristici producono sempre distruzione, violazione dei diritti umani, violenza. Durante la guerra si consumano anche gli stupri su donne e ragazze minori, riconosciuti da parte del Consiglio di sicurezza dell’ONU, nel 2000 con la risoluzione n.1325 e nel 2019 con la risoluzione n.2467, come “atti gravissimi e crimine contro l’umanità”. Nel 2009 con la risoluzione n. 1888 il Consiglio di Sicurezza ha istituito la United Nations Special Representative of tha Secretary- General of the Secretary- General on Sexual Violence in Conflict, dedicata esclusivamente alla violenza sessuale nei contesti bellici. Di fatto però la consapevolezza sulla dimensione di genere negli episodi di violenza che caratterizzano i conflitti armati è ancora modesta. Eppure, è un’amara realtà. Che del corpo femminile diventi anch’esso campo di battaglia e strumento di conquista è cosa ben nota all’umanità sin dai tempi antichi. Basti pensare all’epos romano, che del “ratto delle Sabine” fece un momento fondativo della futura grandezza di Roma. Lo stupro di guerra continua a essere considerato come un effetto collaterale e inevitabile delle ostilità e non come manifestazione discriminatoria e oppressiva nei confronti delle donne. Testimonianze agghiaccianti parlano di uno sfruttamento che infligge trauma su trauma su corpi, già vulnerabili, come territori da controllare e spartirsi senza alcun freno e senza alcun rispetto per la dignità. Se non fosse per l'impegno di organizzazioni internazionali e umanitarie, le donne maltrattate in questo modo non avrebbero voce per raccontare le loro ferite e non avrebbero percorsi di guarigione e di riadattamento. Il Segretario generale dell’ONU, Antonio Guterres, parla di "rapporti terrificanti provenienti da ogni parte del mondo", segno di un "crimine spregevole che perdura nonostante gli impegni internazionali per eradicarlo". Egli lamenta che "troppo spesso lo stigma getta i sopravvissuti nella vergogna mentre gli autori delle violenze rimangono impuniti. È necessario perseguire i colpevoli in modo che rispondano delle loro azioni davanti alla giustizia come è necessario trasformare la retorica in risposta”. La violenza sessuale è diventata crimine di guerra dopo milioni di donne stuprate durante i conflitti, in Serbia, Ruanda, Etiopia, Sudan, Serra Leone, Uganda, Bosnia, Ucraina e Medioriente, senza considerare le guerre mondiali. Le donne sopravvissute alle violenze vanno incontro a una vita fatta di ansia, depressione, rischio di suicidio e abuso di sostanze per auto medicalizzarsi e contenere la costante disforia. Il Consiglio di sicurezza, nelle risoluzioni adottate, definisce lo stupro di guerra, una forma di violenza sessuale connessa al conflitto. L’ abuso sessuale durante la guerra ha più forme: stupro, prostituzione forzata, gravidanza forzata, aborto forzato, sterilizzazione forzata, schiavitù sessuale, matrimonio forzato. E quanto pesa poi lo stigma sui bambini nati dagli stupri di guerra? Figli invisibili, a rischio emarginazione, vulnerabili socialmente e legati a problemi psicologici relativi all’ identità, vengono spesso privati di una crescita dignitosa ovvero del diritto di flourishing umana. Nel 1994, in Ruanda lo stupro è stato un cinico strumento di pulizia etnica nei confronti dei Tutsi e ha provocato migliaia di gravidanze indesiderate. In Bosnia ed Erzegovina le donne sono state tenute prigioniere nei “campi di stupro” e sono state rilasciate quando la gravidanza non poteva più essere interrotta. Nell’Uganda del Nord tantissime ragazze sono state abusate anche con l’intento di farle rimanere incinte. In Sierra Leone 20.000 bambini sono nati dagli stupri di guerra. Nel Timor Est come nella Repubblica democratica del Congo le donne sono state ridotte in schiavitù sessuale. Le situazioni di sfollamento, migrazione, di fuga dai conflitti rendono le donne e le ragazze ancor più vulnerabili alla violenza sessuale e presentano ulteriori ostacoli alla tutela della loro salute, dei loro diritti, soprattutto sessuali e riproduttivi. Per tante donne rimaste incinte è stato difficile abortire; riconoscerle poi vittime di guerra è stato un percorso arduo e lento. Eppure, la violenza sessuale,
anche durante i conflitti, crea una spirale discendente che spezza le vite causando lesioni ginecologiche, infezioni trasmissibili sessualmente come la sifilide e l’HIV e traumi psicologici difficilmente superabili. Il profilo dei carnefici è quello dei gruppi armati statali e non statali, di entità o reti terroristiche. Il profilo delle vittime invece fa parte della componente di minoranza politica, etnica o religiosa perseguitata e comprende anche la tratta di persone a scopo di violenza sessuale e/o di sfruttamento diretto, poste in condizioni di soggezione e di schiavitù connesse al conflitto. La violenza sessuale, come morte civile, viene perpetrata anche contro attiviste politiche durante le manifestazioni di protesta come avvenuto in Yemen, Afghanistan, Libia, Sudan, Myanmar. In Iran le attiviste sono stuprate in carcere. Attualmente in Ucraina si stanno riproducendo gli orrori che si sono ripetuti in tutte le guerre; anche qui la strategia aberrante dell’arma dello stupro viene usata come offesa alla popolazione femminile. A Bucha le autopsie condotte sui cadaveri delle donne, trovati nelle fosse comuni, hanno rilevato che molte di loro sono state stuprate dai militari russi, prima di essere giustiziate. Le organizzazioni umanitarie hanno fatto di tutto per fornire gli ospedali ucraini delle pillole del giorno dopo, come contraccezione d’emergenza. Inoltre, succede che le profughe che hanno subito stupri e che sono accolte in Stati come la Polonia e l’Ungheria, per via delle leggi che vietano l’aborto, non possono interrompere la gravidanza subita. In Medioriente, nel raid e nel rapimento del 7 ottobre 2023 da parte delle milizie di Hamas, le donne ebree sono state abusate e sodomizzate. In Palestina la condizione delle donne è da sempre problematica. Si calcola che il 60% delle donne sposate ha subito violenza. Già l’UNFPA ( United Nations Fund for Population Activities) aveva registrato un’escalation della violenza di genere da parte dei coloni israeliani nei confronti delle palestinesi; più alta nei confronti delle donne con disabilità. La scrittrice franco-algerina Karima Guenivet definisce la donna, oggetto di stupro e femminicidio di guerra e come “ospite” della discendenza del soldato nemico, mentre la filosofa Gayatri Chakravorty Spivak, femminista americana, di origine bengalese, caratterizzò “lo stupro di gruppo perpetrato, durante la guerra, come una celebrazione metonimica di acquisizioni territoriali”. Papa Francesco sprona a non stancarsi mai di dire no alla guerra, no alla violenza e di porre attenzione sull’ aumento del fenomeno della violenza di genere nei conflitti ancora non abbastanza indagato. La Sua preoccupazione è verso le sopravvissute alle violenze sessuali nei conflitti, a ogni bambino e adulto ferito. L’art.27 della Convenzione di Ginevra, ratificata il 12 agosto 1949, per la protezione dei civili in tempo di guerra prevede che: “ Le donne saranno specialmente protette contro qualsiasi offesa al loro onore e, in particolare, contro lo stupro, la coercizione alla prostituzione e qualsiasi offesa al loro pudore”, ma nonostante tale normativa internazionale, la donna continua a essere considerata come bottino di guerra. L’intervento delle organizzazioni umanitarie e dei centri antiviolenza è fondamentale anche per evitare che le profughe siano esposte al rischio di finire vittime della tratta finalizzata alla prostituzione, dove sono coinvolte anche ragazze minorenni. Le organizzazioni criminali fanno sciacallaggio su chi fugge dalla morte e della distruzione della guerra e trasformano in merce donne e bambine. Nell’ intervento umanitario verso le donne e le minori abusate, la prevenzione alla violenza di genere e al supporto alle sopravvissute, l’assistenza medica e psicosociale, il reinserimento socioeconomico sono parte integrante, ma purtroppo, nonostante la consapevolezza che c’è necessità dei servizi a sostegno, nei contesti di guerra, è comunque difficile trovare la pronta disponibilità degli stessi. Denunciare è importante per perseguire i criminali di guerra e risarcire le vittime. Ultimamente, dopo l’impegno costante soprattutto da parte di attiviste, il diritto internazionale relativo ai diritti umani, ha riconosciuto il diritto al risarcimento per le donne che hanno subito
violenza sessuale durante i conflitti armati. Accanto all’intensificazione e al miglioramento dell’opera giurisdizionale per individuare e sanzionare con tempestività coloro che si macchino di tali crimini, è forte la necessità che si affrontino con contezza le cause profonde di questo fenomeno, prendendo atto che la disuguaglianza strutturale di genere, la discriminazione, la povertà e l’emarginazione, se non debitamente contrastate, saranno sempre il motore invisibile ma ineluttabile della sofferenza patita dalle vittime di siffatta violenza. Dove la prevenzione dovesse fallire, è necessario istituire adeguati presidi di tutela e assistenza alle sopravvissute, così che non siano colpite da una seconda punizione: l’essere abbandonate ed emarginate, soggette al ripudio e alla stigmatizzazione. Guarire significa garantire servizi appropriati e accessibili, tra cui assistenza sanitaria, supporto psico-sociale, consulenza legale e il sostegno ai mezzi di sussistenza. Realizzare tutto questo richiede indubbiamente uno sforzo globale e non trascurabile. Si deve denunciare costantemente e pubblicamente questo gravissimo e vergognoso crimine, ma soprattutto non ci si deve stancare mai di dire no alla guerra, no alla violenza, no alla cultura della sopraffazione, sì alla cultura alla pace. La ricerca della pace è una faticosa costruzione che richiede l’impegno di tutte e di tutti. Non è un semplice cessate il fuoco, passaggio comunque fondamentale. La pace richiede responsabilità, giustizia, riparazione all’interno di un quadro giuridico riconosciuto da tutte le parti e sostenuto dalle Organizzazioni internazionali a tutela dei diritti umani e della parità di genere, quest’ultima presupposto imprescindibile per l’eliminazione di tutte le forme di violenza sulle donne, compreso lo stupro di guerra.
Anna Rosa Cianci, attivista per i diritti umani.
25 novembre 2023
Le guerre, i conflitti, gli attacchi terroristici producono sempre distruzione, violazione dei diritti umani, violenza. Durante la guerra si consumano anche gli stupri su donne e ragazze minori, riconosciuti da parte del Consiglio di sicurezza dell’ONU, nel 2000 con la risoluzione n.1325 e nel 2019 con la risoluzione n.2467, come “atti gravissimi e crimine contro l’umanità”. Nel 2009 con la risoluzione n. 1888 il Consiglio di Sicurezza ha istituito la United Nations Special Representative of tha Secretary- General of the Secretary- General on Sexual Violence in Conflict, dedicata esclusivamente alla violenza sessuale nei contesti bellici. Di fatto però la consapevolezza sulla dimensione di genere negli episodi di violenza che caratterizzano i conflitti armati è ancora modesta. Eppure, è un’amara realtà. Che del corpo femminile diventi anch’esso campo di battaglia e strumento di conquista è cosa ben nota all’umanità sin dai tempi antichi. Basti pensare all’epos romano, che del “ratto delle Sabine” fece un momento fondativo della futura grandezza di Roma. Lo stupro di guerra continua a essere considerato come un effetto collaterale e inevitabile delle ostilità e non come manifestazione discriminatoria e oppressiva nei confronti delle donne. Testimonianze agghiaccianti parlano di uno sfruttamento che infligge trauma su trauma su corpi, già vulnerabili, come territori da controllare e spartirsi senza alcun freno e senza alcun rispetto per la dignità. Se non fosse per l'impegno di organizzazioni internazionali e umanitarie, le donne maltrattate in questo modo non avrebbero voce per raccontare le loro ferite e non avrebbero percorsi di guarigione e di riadattamento. Il Segretario generale dell’ONU, Antonio Guterres, parla di "rapporti terrificanti provenienti da ogni parte del mondo", segno di un "crimine spregevole che perdura nonostante gli impegni internazionali per eradicarlo". Egli lamenta che "troppo spesso lo stigma getta i sopravvissuti nella vergogna mentre gli autori delle violenze rimangono impuniti. È necessario perseguire i colpevoli in modo che rispondano delle loro azioni davanti alla giustizia come è necessario trasformare la retorica in risposta”. La violenza sessuale è diventata crimine di guerra dopo milioni di donne stuprate durante i conflitti, in Serbia, Ruanda, Etiopia, Sudan, Serra Leone, Uganda, Bosnia, Ucraina e Medioriente, senza considerare le guerre mondiali. Le donne sopravvissute alle violenze vanno incontro a una vita fatta di ansia, depressione, rischio di suicidio e abuso di sostanze per auto medicalizzarsi e contenere la costante disforia. Il Consiglio di sicurezza, nelle risoluzioni adottate, definisce lo stupro di guerra, una forma di violenza sessuale connessa al conflitto. L’ abuso sessuale durante la guerra ha più forme: stupro, prostituzione forzata, gravidanza forzata, aborto forzato, sterilizzazione forzata, schiavitù sessuale, matrimonio forzato. E quanto pesa poi lo stigma sui bambini nati dagli stupri di guerra? Figli invisibili, a rischio emarginazione, vulnerabili socialmente e legati a problemi psicologici relativi all’ identità, vengono spesso privati di una crescita dignitosa ovvero del diritto di flourishing umana. Nel 1994, in Ruanda lo stupro è stato un cinico strumento di pulizia etnica nei confronti dei Tutsi e ha provocato migliaia di gravidanze indesiderate. In Bosnia ed Erzegovina le donne sono state tenute prigioniere nei “campi di stupro” e sono state rilasciate quando la gravidanza non poteva più essere interrotta. Nell’Uganda del Nord tantissime ragazze sono state abusate anche con l’intento di farle rimanere incinte. In Sierra Leone 20.000 bambini sono nati dagli stupri di guerra. Nel Timor Est come nella Repubblica democratica del Congo le donne sono state ridotte in schiavitù sessuale. Le situazioni di sfollamento, migrazione, di fuga dai conflitti rendono le donne e le ragazze ancor più vulnerabili alla violenza sessuale e presentano ulteriori ostacoli alla tutela della loro salute, dei loro diritti, soprattutto sessuali e riproduttivi. Per tante donne rimaste incinte è stato difficile abortire; riconoscerle poi vittime di guerra è stato un percorso arduo e lento. Eppure, la violenza sessuale,
anche durante i conflitti, crea una spirale discendente che spezza le vite causando lesioni ginecologiche, infezioni trasmissibili sessualmente come la sifilide e l’HIV e traumi psicologici difficilmente superabili. Il profilo dei carnefici è quello dei gruppi armati statali e non statali, di entità o reti terroristiche. Il profilo delle vittime invece fa parte della componente di minoranza politica, etnica o religiosa perseguitata e comprende anche la tratta di persone a scopo di violenza sessuale e/o di sfruttamento diretto, poste in condizioni di soggezione e di schiavitù connesse al conflitto. La violenza sessuale, come morte civile, viene perpetrata anche contro attiviste politiche durante le manifestazioni di protesta come avvenuto in Yemen, Afghanistan, Libia, Sudan, Myanmar. In Iran le attiviste sono stuprate in carcere. Attualmente in Ucraina si stanno riproducendo gli orrori che si sono ripetuti in tutte le guerre; anche qui la strategia aberrante dell’arma dello stupro viene usata come offesa alla popolazione femminile. A Bucha le autopsie condotte sui cadaveri delle donne, trovati nelle fosse comuni, hanno rilevato che molte di loro sono state stuprate dai militari russi, prima di essere giustiziate. Le organizzazioni umanitarie hanno fatto di tutto per fornire gli ospedali ucraini delle pillole del giorno dopo, come contraccezione d’emergenza. Inoltre, succede che le profughe che hanno subito stupri e che sono accolte in Stati come la Polonia e l’Ungheria, per via delle leggi che vietano l’aborto, non possono interrompere la gravidanza subita. In Medioriente, nel raid e nel rapimento del 7 ottobre 2023 da parte delle milizie di Hamas, le donne ebree sono state abusate e sodomizzate. In Palestina la condizione delle donne è da sempre problematica. Si calcola che il 60% delle donne sposate ha subito violenza. Già l’UNFPA ( United Nations Fund for Population Activities) aveva registrato un’escalation della violenza di genere da parte dei coloni israeliani nei confronti delle palestinesi; più alta nei confronti delle donne con disabilità. La scrittrice franco-algerina Karima Guenivet definisce la donna, oggetto di stupro e femminicidio di guerra e come “ospite” della discendenza del soldato nemico, mentre la filosofa Gayatri Chakravorty Spivak, femminista americana, di origine bengalese, caratterizzò “lo stupro di gruppo perpetrato, durante la guerra, come una celebrazione metonimica di acquisizioni territoriali”. Papa Francesco sprona a non stancarsi mai di dire no alla guerra, no alla violenza e di porre attenzione sull’ aumento del fenomeno della violenza di genere nei conflitti ancora non abbastanza indagato. La Sua preoccupazione è verso le sopravvissute alle violenze sessuali nei conflitti, a ogni bambino e adulto ferito. L’art.27 della Convenzione di Ginevra, ratificata il 12 agosto 1949, per la protezione dei civili in tempo di guerra prevede che: “ Le donne saranno specialmente protette contro qualsiasi offesa al loro onore e, in particolare, contro lo stupro, la coercizione alla prostituzione e qualsiasi offesa al loro pudore”, ma nonostante tale normativa internazionale, la donna continua a essere considerata come bottino di guerra. L’intervento delle organizzazioni umanitarie e dei centri antiviolenza è fondamentale anche per evitare che le profughe siano esposte al rischio di finire vittime della tratta finalizzata alla prostituzione, dove sono coinvolte anche ragazze minorenni. Le organizzazioni criminali fanno sciacallaggio su chi fugge dalla morte e della distruzione della guerra e trasformano in merce donne e bambine. Nell’ intervento umanitario verso le donne e le minori abusate, la prevenzione alla violenza di genere e al supporto alle sopravvissute, l’assistenza medica e psicosociale, il reinserimento socioeconomico sono parte integrante, ma purtroppo, nonostante la consapevolezza che c’è necessità dei servizi a sostegno, nei contesti di guerra, è comunque difficile trovare la pronta disponibilità degli stessi. Denunciare è importante per perseguire i criminali di guerra e risarcire le vittime. Ultimamente, dopo l’impegno costante soprattutto da parte di attiviste, il diritto internazionale relativo ai diritti umani, ha riconosciuto il diritto al risarcimento per le donne che hanno subito
violenza sessuale durante i conflitti armati. Accanto all’intensificazione e al miglioramento dell’opera giurisdizionale per individuare e sanzionare con tempestività coloro che si macchino di tali crimini, è forte la necessità che si affrontino con contezza le cause profonde di questo fenomeno, prendendo atto che la disuguaglianza strutturale di genere, la discriminazione, la povertà e l’emarginazione, se non debitamente contrastate, saranno sempre il motore invisibile ma ineluttabile della sofferenza patita dalle vittime di siffatta violenza. Dove la prevenzione dovesse fallire, è necessario istituire adeguati presidi di tutela e assistenza alle sopravvissute, così che non siano colpite da una seconda punizione: l’essere abbandonate ed emarginate, soggette al ripudio e alla stigmatizzazione. Guarire significa garantire servizi appropriati e accessibili, tra cui assistenza sanitaria, supporto psico-sociale, consulenza legale e il sostegno ai mezzi di sussistenza. Realizzare tutto questo richiede indubbiamente uno sforzo globale e non trascurabile. Si deve denunciare costantemente e pubblicamente questo gravissimo e vergognoso crimine, ma soprattutto non ci si deve stancare mai di dire no alla guerra, no alla violenza, no alla cultura della sopraffazione, sì alla cultura alla pace. La ricerca della pace è una faticosa costruzione che richiede l’impegno di tutte e di tutti. Non è un semplice cessate il fuoco, passaggio comunque fondamentale. La pace richiede responsabilità, giustizia, riparazione all’interno di un quadro giuridico riconosciuto da tutte le parti e sostenuto dalle Organizzazioni internazionali a tutela dei diritti umani e della parità di genere, quest’ultima presupposto imprescindibile per l’eliminazione di tutte le forme di violenza sulle donne, compreso lo stupro di guerra.
Anna Rosa Cianci, attivista per i diritti umani.
25 novembre 2023