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CPR: Centri di detenzione amministrativa tra diritti negati e politiche repressive

di Anna Rosa Cianci

 

I CPR (Centri di Permanenza per i Rimpatri) sono luoghi di trattenimento del cittadino straniero in attesa di esecuzione di provvedimenti di espulsione: si tratta di strutture di detenzione amministrativa dove vengono reclusi i cittadini non comunitari che non hanno un regolare documento di soggiorno oppure sono già destinatari di un provvedimento di espulsione. Istituiti nel 1998, prevedevano inizialmente come durata della detenzione amministrativa un massimo di 30 giorni.

In seguito, la Legge Bossi-Fini stabilì la possibilità di una proroga di ulteriori 30 giorni. Nel 2013 tale periodo è stato fissato fino ad un massimo di 90 giorni e addirittura l’ultimo “Decreto Sicurezza” prevede la possibilità di arrivare alla detenzione fino a 180 giorni dietro disposizione del questore.

In Italia, attualmente, i CPR sono situati a: Bari, Brindisi, Caltanisetta, Gradisca d’Isonzo, Macomer, Milano, Palazzo San Gervaso, Roma, Torino, Trapani.

Sono migliaia i migranti che transitano nei C.P.R.: non solo e non tanto chi ha commesso reati, ma soprattutto vicende drammatiche di persone che molto semplicemente hanno perso il lavoro e quindi il diritto di restare in Italia, richiedenti asilo a cui non era stata riconosciuta la protezione internazionale o umanitaria, lavoratori e le lavoratrici in nero, vittime di tratta per sfruttamento sessuale che non usufruivano delle normative atte a tutelarle.

Questi centri, almeno in teoria, dovrebbero essere dotati di assistenza come vitto, alloggio, cura dell'igiene, tutela psicologica, tutela sanitaria (nei CPR che accolgono più di 50 persone dovrebbe essere allestito un presidio medico fisso). Purtroppo, molto spesso la realtà è ben diversa: il sistema è infatti al collasso, le persone sono trattenute per mesi in condizioni pessime, spesso senza alcuna prospettiva di rimpatrio. Casi di autolesionismo, tentativi di suicidio e anche suicidi sono all’ordine del giorno. Basti pensare al suicidio, a febbraio di quest’anno, di Ousmane Sylla, un ragazzo della Guinea di 22 anni, che non poteva essere espulso perché mancano gli accordi fra l'Italia e il suo Paese. Sul muro della cella del C.P.R.di Ponte Galeria a Roma aveva scritto: “Mi manca mia madre, voglio tornare in Africa” e poi si è impiccato. Da anni diverse organizzazioni che si occupano dei diritti umani evidenziano che l’alto livello di degrado e le tragiche morti avvenute. Il C.P.R. di Gradisca di Isonzo è chiamato la Guantanamo italiana. In una recente ricerca di Amnesty International (“Libertà e dignità: osservazioni sulla detenzione amministrativa delle persone migranti e richiedenti asilo in Italia”) il quadro che emerge è a dir poco allarmante. La detenzione amministrativa dovrebbe essere una misura eccezionale e di ultima istanza. Invece, c’è un uso eccessivo e sistematico di questa pratica, che priva le persone migranti e richiedenti asilo dei loro diritti fondamentali. L’equilibrio psicofisico viene spezzato da mesi di privazione della libertà, la repressione sempre seguita a rivolte e sommosse per la scarsa qualità del cibo, per poter ottenere colloqui con parenti e avvocati, per difficoltà strutturali derivanti da spazi pensati esclusivamente come “zoo” temporanei per esseri umani che diventa un manicomio dei migranti. Poi, c’è il nodo dei minori. Quest’ultimi, infatti, sono quelli pagano il prezzo più alto: per i più giovani (con età compresa tra i 16 e i 18 anni) il governo ha tagliato il fondo di accoglienza a loro destinato e lo ha fatto derogando il limite di capienza dei centri di accoglienza straordinaria per minori fino a un massimo del 50%. Soprattutto sono cambiate anche le norme sul loro riconoscimento anagrafico. Norme che secondo Save the Children «pongono i minorenni a serio rischio di respingimento, detenzione ed espulsione illegittimi causati da un’errata valutazione dell’età».

Sussistono peraltro seri dubbi di legittimità costituzionale rispetto al trattenimento in CPR, in particolare in riferimento alla riserva di legge sui modi del trattenimento, sul diritto alla salute e sulla violazione del principio di ragionevolezza e di eguaglianza.

Nonostante ciò, il Governo Meloni vuole continuare ad aprire altri CPR, ora anche nelle Marche dove, all’insaputa dell’ignaro (o presunto ignaro?) Presidente Acquaroli si intende creare un CPR presso la ex Caserma Saracini di Falconara Marittima. Dov’è la filiera che dalla sindaca di destra della città Stefania Signorini dovrebbe arrivare a Giorgia Meloni passando per la Giunta regionale? Le Marche diventano di fatto un mezzo per il Governo per affermare una politica muscolare dei forti contro i deboli e l’amministrazione regionale si dimostra incapace di tutelare e difendere gli interessi dei cittadini. La filiera, tanto vantata da Acquaroli per i benefici che avrebbe portato, ancora una volta fallisce a discapito delle Marche e dei marchigiani.

Come PD Marche, sosteniamo con forza le ragioni del territorio falconarese che non vuole il CPR e ci schiariamo con forza contro l’idea stessa dell’utilità dei CPR così come sono attualmente strutturati e chiediamo il rispetto delle libertà e dei diritti costituzionali delle persone e delle formazioni sociali.

 

Lì 9 ottobre 2024

Anna Rosa Cianci – Tavolo diritti umani, pace e migrazione

PD Marche
P.zza Stamira n. 5 Ancona 60122
Tel. (+39) 071 2073510

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