“Stravolti i principi volti a soddisfare il diritto alla casa per le fasce sociali più deboli”
ANCONA - “Ci saremmo aspettati che in sede di revisione e riordino del sistema regionale delle politiche abitative si potessero creare le condizioni per interventi volti ad allargare la platea dei beneficiari delle case popolari, ottemperando alla ratio della legge 36 del 2005, che si pone l’obiettivo di soddisfare il bisogno primario all’abitazione per le fasce sociali più deboli. Ci siamo invece trovati di fronte a modifiche parziali e ideologiche, che trasformano in senso peggiorativo la legge stessa, rendendola discriminatoria e punitiva. Ne comprendiamo benissimo l’intento, che non è soddisfare né il diritto alla casa, né ripopolare le aree interne e neppure sostenere i giovani, bensì ricercare facile consenso con un provvedimento che esclude, giudica, riduce e conforma, ma soprattutto non dà soluzione ai problemi. Insomma, si poteva e si doveva fare certamente un lavoro più serio ed efficace, magari analizzando i bisogni sociali, studiando i trend di crescita delle nuove povertà, indicando chiaramente gli indirizzi di investimento per la realizzazione di nuovi alloggi di edilizia residenziale pubblica. Invece niente di tutto questo. L’ennesima occasione persa per fare della nostra regione un luogo più civile, più inclusivo e quindi più vivibile”.Così il gruppo assembleare del Partito Democratico spiega il voto contrario espresso in consiglio regionale sulle modifiche alla legge regionale 36 del 16 dicembre 2005. Molti gli aspetti critici rilevati dai dem, oggetto anche di ben 17 emendamenti tutti bocciati dalla maggioranza.
“Un esempio del profilo discriminatorio introdotto dalle modifiche approvate - affermano i consiglieri del Pd - è la grave disparità che si introduce nelle modalità di presentazione della domanda per l’assegnazione della casa popolare, laddove si prevedono procedure e criteri diversificati che mirano a penalizzare fortemente la popolazione straniera, anche nel caso di soggetti in possesso di tutti i requisiti. Ma alcune modifiche approvate danneggiano anche e soprattutto le famiglie italiane. Fino a oggi, per esempio, era possibile partecipare ai bandi delle case popolari anche possedendo una quota di proprietà fino al 50% di un altro alloggio pubblico, che nella stragrande maggioranza dei casi è frutto di eredità ricevute. L’abbassamento di questa percentuale al 25% rappresenta un vero capestro, poiché impedirà a chiunque condivide con fratelli o altri parenti una quota di proprietà così bassa, che di fatto rende praticamente impossibile sia la vendita dell’alloggio che la sua fruizione da parte di tutti i comproprietari, di concorrere all’assegnazione di una nuova casa popolare”.
“Non condivisibile - aggiungono i consiglieri - è anche la scelta della riserva fino al 30% degli alloggi a favore delle forze dell’ordine. Crediamo, infatti, che il loro meritorio impegno vada riconosciuto e premiato in ben altro modo, non certo assicurando forme di privilegio oggettivamente ingiustificate, dato che parliamo di lavoratori che possono fruire di contratti a tempo indeterminato e, in molte situazioni, anche alloggi pubblici messi a disposizione dai ministeri da cui dipendono. Tra l’altro, pur non essendo d’accordo con il principio, non comprendiamo per quale motivo dallo schema proposto rimangano escluse categorie ugualmente impegnate a garantire la sicurezza dei cittadini, come quella della polizia municipale, o non siano previste agevolazioni per il personale sanitario e docente. Davvero grave e incomprensibile, poi, è l'equiparazione tra le stesse forze dell'ordine e le donne vittime di violenza di genere, che invece avrebbero dovuto rappresentare l'unica soggettività da aggiungere all'elenco delle fragilità già individuate dalla legge".
“Infine – concludono i dem - un altro aspetto che non può essere accettato nel quadro di un ordinamento democratico e garantista, e che solleva fortissimi dubbi anche sotto il profilo della sua costituzionalità, è l’esclusione per dieci anni dal diritto ad avere una casa popolare per chi, anche a distanza di tempo, ha ricevuto una condanna penale. E’ evidente che in tal modo la Regione Marche si erge a giudice, prescrivendo una “pena accessoria” a quella già comminata dal tribunale”.
Ancona, 13 luglio 2021
Gruppo assembleare del Partito Democratico - Assemblea Legislativa delle Marche