L’internazionalizzazione delle imprese è un processo culturale che può consentire di aumentare il giro d’affari dell’azienda e, già solo per questo motivo, dovrebbe essere il primo obiettivo strategico degli imprenditori che operano in una potenza manifatturiera come l’Italia, paese dove si produce più di quanto si consuma.
Il secondo motivo è che in un contesto nel quale le imprese italiane esportano prevalentemente verso l’Europa o Paesi limitrofi, l’internazionalizzazione potrebbe rappresentare il vero fattore per limitare la sovraesposizione su singoli mercati, ad oggi già stato motivo di crisi, ad esempio, per alcune aziende del settore calzaturiero marchigiano.
Il terzo motivo è che – contrariamente ad altri paesi – l’Italia gode di una reputazione e di un buon nome a livello mondiale, ma questo non corrisponde affatto con una disponibilità o una diffusione capillare dei nostri prodotti e servizi a livello globale. Dell’Italia si sente parlare molto ma, per quanto riguarda i prodotti, abbiamo ancora spazi immensi da conquistare in giro per il mondo.
Dobbiamo fissarci l’obiettivo (oggettivamente raggiungibile) di concentrarci inizialmente su questi 3 pilastri, senza dimenticare che – per poter vedere i primi risultati positivi sulla nostra economia regionale e nazionale – dobbiamo fare anche un lavoro sartoriale a seconda del beneficiario.
Ma che cosa è mancato fino ad oggi per fare il salto di qualità?
Sono anni che mi confronto con responsabili politici locali e nazionali, dirigenti dipendenti pubblici, colleghi di lavoro, amministratori locali, sindacalisti, imprenditori e imprenditrici, start up, coworking, incubatori, FabLab, docenti, il mondo della sharing economy, associazioni di categoria, insegnanti, scienziati e anche con manager di multinazionali marchigiane. Questo per cercare di capire le ragioni del nostro mancato decollo, pur in presenza di Grandi Campioni Regionali che hanno fatto le loro prove sul mercato internazionale.
Ora, il momento delle azioni è finalmente arrivato e ho anche deciso di assumere responsabilità politica a livello locale, perché penso di essere giunta – grazie ed insieme alla dirigenza del PD Marche degli ultimi anni – ad una proposta concreta in grado di affrontare le cause reali e presunte della nostra stagnazione.
Abbiamo bisogno di “Donne e di Uomini necessari”, in grado di capire il locale e il globale. Abbiamo bisogno di un luogo nel quale far confluire i problemi ma anche per vedervi nascere soluzioni. Abbiamo bisogno di piccoli e grandi modelli regionali da conoscere, capire e – laddove necessario – anche da seguire o emulare.
In Italia, a livello imprenditoriale ed industriale, abbiamo commesso degli errori che dobbiamo avere il coraggio di ammettere. L’esempio classico è quello di non aver voluto lanciarci nel segmento dei cosiddetti SUV, nonostante le nostre numerose case automobilistiche. Oggi, tutte le case automobilistiche del mondo sono presenti in questo segmento nel quale solo da poco abbiamo cominciato a fare il nostro ingresso grazie all’ottimo design e alla comunicazione.
Se continuiamo a rifiutarci di raccogliere tutti i nostri sforzi, idee e creatività, se non accettiamo di incontrarci in un luogo nel quale far convergere i nostri bisogni, dove condividere opportunità e raccogliere consenso e fondi per sviluppare progetti e idee, potremmo esporci di nuovo ad un fallimento annunciato, pur essendo in presenza di un sistema marchigiano eccezionale e in grado – quindi lo merita – di avere il mondo come proprio mercato.
Frida Paolella
Frida Paolella