Europa. Rischi all’orizzonte, ma rimane il nostro balcone sul XXI secolo
Dal 1945, l’Europa è stata l’idea vincente sul nostro continente.
In effetti, conflitti fratricidi non ci sono più stati – talvolta durati secoli – fra vecchie nazioni, portatrici ognuna di una grande storia e di molteplici tradizioni.
La divisione del mondo in due blocchi antagonisti (capitalisti e comunisti) ha certamente contribuito a favorire lo sviluppo dell’Unione, esattamente come la caduta del Muro di Berlino ha permesso la riunificazione della Germania e l’Allargamento verso Est.
I cittadini europei hanno accettato di fare sacrifici e molti dei Paesi mediterranei hanno capito la necessità di rinunciare ai fondi strutturali, dei quali avevano bisogno, per colmare il ritardo sussistente ancora oggi con i Paesi nordici. Questi fondi strutturali sono stati dirottati verso i Paesi dell’Europa dell’Est, proprio perché i cittadini e i protagonisti politici di allora capivano il significato di “solidarietà”. Ecco come la promessa - pace e prosperità - è stata finora mantenuta.
Ma oggi, le cose sono cambiate. Nell’era dei social network e della digitalizzazione, false notizie hanno contribuito a gettare un grandissimo discredito sull’Unione Europea, che – va ricordato – ha meno dipendenti di alcuni grandi comuni che amministrano le capitali europee.
E’ vero, ci sono delle cose - tante - da cambiare, aggiustare e forse anche eliminare, ma ci dimentichiamo spesso che questa organizzazione internazionale riesce a rendere tutti i Paesi europei membri – anche quelli più piccoli – protagonisti in un mondo che conosce numerosi e nuovi attori internazionali, tra cui possiamo citare le multinazionali.
Oggi le cose sono cambiate perché – talvolta – alcune di queste grandi imprese, che operano ovunque nel mondo, hanno un fatturato che supera il PIL di molte nazioni nel mondo, anche di quelle dell’UE.
Oggi, le cose sono cambiate perché ci sono altre nazioni che sono naturalmente o improvvisamente apparse sulla scena internazionale. Alcune come Cina, Russia, Brasile ed India erano attese. Ma poi, il mondo si è dovuto confrontare anche con altri Paesi inattesi come Turchia, Messico, Indonesia, Sud Africa, India, Brasile, Indonesia, che hanno accumulato un peso importante nell’economia e sulla scena politica internazionale.
Oggi, le cose sono cambiate perché ci sono fazioni, non legate direttamente a degli Stati, implicate nei conflitti, senza contare il fenomeno crescente delle “guerre per procura”.
Poco più di due anni fa, il 23 giugno 2016, i cittadini britannici votavano per Brexit, il Referendum per l’uscita dall’UE. A quel voto erano ammessi gli elettori provenienti dai Paesi del Commonwealth, ma non i numerosi cittadini europei che si sono stabiliti nel Regno Unito e che – oggi – rischiano di vedere andare in frantumi il loro sogno di vivere in un’Europa aperta.
Queste non sono spiegazioni per trovare scusanti e per dire che non ci sono cose da correggere in Europa.
Al contrario. Le sfide del futuro parlano chiaro già da oggi. Dobbiamo prepararci a “mettere sempre più” e “fare sempre più” insieme se vogliamo sopravvivere alle nuove sfide del mondo politico ed economico del XXI secolo.
Purtroppo, le nuove generazioni che non hanno conosciuto la guerra corrispondono anche con una nuova classe dirigente europea che, spinta dalla giustificata paura del terrorismo internazionale (ora sempre più sotto controllo), ha spesso e purtroppo scelto il populismo per provocare un cambiamento necessario nelle nostre società europee dove crescono ineguaglianze.
Domenica 24 giugno a Bruxelles si riunivano i responsabili di 16 Paesi dell’UE in una conferenza informale per trovare soluzioni europee alla crisi migratoria, prima del prossimo Consiglio Europeo del 29 giugno 2018, sempre a Bruxelles.
Dobbiamo prendere atto che, dopo decenni di democratizzazione nei Paesi dell’ex blocco orientale, ci sono delle nuove tendenze autocratiche, specialmente nel cosiddetto gruppo di Visegrad (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia). Queste sembrano dimenticare proprio quel principio di solidarietà che ha tolto quei Paesi dalla crisi economica e dall’”economia della sopravvivenza” che le nuove generazioni non hanno vissuto.
La risposta europea comune al terrorismo internazionale sembra la via più sensata, in quanto fenomeno peggiore e più pericoloso delle migrazioni e principalmente questione a forte carico “emotivo” che molte forze sfruttano a fini elettorali.
L’impegno dell’Europa non è solamente per la pace, ma anche per lo sviluppo del benessere in Italia e in Europa e per la cooperazione allo sviluppo nel mondo.
Aspettando che tutto ritorni nell’ordine delle cose e che il destino comune europeo riprenda il sopravvento, il PD Marche deve continuare a mettere in atto una politica pro-europea in grado di spiegare meglio l’Europa alle nuove generazioni e “togliere l’erba sotto i piedi” alla propaganda anti europea di alcuni avversari politici senza scrupoli.
Perché solo con l’Europa saremo in grado di ottenere un posto per avere una buona vista sul XXI secolo.
Frida Paolella
Responsabile Europa, Internazionalizzazione
e Imprenditorialità PD Marche