La complessità della situazione è enormemente superiore alle capacità finora dimostrate da governo nazionale e regionale. Per il momento il maggior peso continua ad essere sorretto dall'anello più debole della filiera istituzionale: i Comuni che, con personale già scarso per rispondere alle scadenze ordinarie, devono caricarsi della gestione del post alluvione. A loro spetta infatti distribuire i miseri acconti da destinare a cittadini e imprese, perché sulle opere di messa in sicurezza del territorio, la Regione non ha ancora fornito nessun aggiornamento.
Per i territori del pesarese e dell’anconetano colpiti, questa è la catastrofe più grande dal dopo guerra ad oggi. Per sanare le ferite di questa tragedia, che lascia ad oggi interi borghi divelti, ponti distrutti, strade cancellate, è necessaria una adeguata dotazione di risorse umane economica per lo stato d’emergenza: 400 milioni sono del tutto inadeguati, visto che peraltro non sono disponibili immediatamente ma sono spalmati nel corso di più annualità. Non esiste in Italia nessun altro stato di emergenza in cui non si sia effettuata neppure una assunzione aggiuntiva per sostenere l'azione di Regione, Province e Comuni e dove non sia nota la quantificazione e qualificazione totale dei danni. Dal Governo Regionale manca del tutto trasparenza sui fatti (rapporto evento ancora non redatto), sui dati (né cumulativamente, né analiticamente si conoscono le cifre dei modelli compilati da Enti pubblici e privati), sulle procedure attivate per mitigare il rischio a monte da Cantiano a Sassoferrato o lungo il bacino del Misa e con quale logica si sia proceduto con i lavori di somma urgenza. D’altronde, non è nemmeno stato attivato un coordinamento dei Sindaci, un tavolo nel quale sia possibile conoscere con certezza l’entità dei danni comune per comune e i criteri di ripartizione. L’approssimazione è totale: si naviga a vista un po’ per incapacità amministrativa, un po’ per lasciare spazi di discrezionalità nello stanziamento dei fondi. Attivare un dialogo serio avrebbe permesso anche di evitare alcuni errori: per esempio, per quanto riguarda la vegetazione fluviale, si sarebbe dovuto procedere con tagli selettivi, e non, come purtroppo sta avvenendo con tagli indiscriminati che creano un “deserto” nel quale aumentano la velocità idraulica e i rischi per la popolazione.
Oltre alla trasparenza manca lo spazio per la partecipazione ai processi, tant'è che questa conferenza stampa nasce dalla spinta di molteplici iscritti, amministratori, esperienze civiche, tecniche che all'indomani dell'alluvione si sono attivati con proposte, iniziative, convegni, pubblicazioni. Ognuno si stava muovendo singolarmente attivando i propri contatti e le proprie competenze. Ad esempio a Senigallia “Diritti al futuro”, che esprime un proprio consigliere in consiglio comunale, a dicembre aveva già due convegni all'attivo. Con loro siamo partiti. Il cammino è proseguito con i circoli PD dell'intera zona, con gli amministratori locali, il sindacato, e poi gli altri territori, le federazioni fanno da ponte, altri sindaci, i comitati e la filiera istituzionale che ci vede presenti e attivi in parlamento e consiglio regionale.
A livello regionale secondo noi va recuperato l'Assetto di progetto del 2016 in quale, utile oltre che tecnicamente, anche come modello almeno per quattro motivi:
- La mitigazione del rischio idraulico va fatta con opere di difesa a monte, e non a valle, del territorio che si vuole rendere meno vulnerabile.
- L'acqua non deve solamente tracimare, ma deve anche essere immagazzinata finché non si supera il picco di piena: per questo servono le vasche che svolgono questa funzione contrariamente alle tracimazioni non controllate.
- Recupero della capacità di ritenzione del territorio e riduzione dell'afflusso di acqua meteorica e di trasporto solido in alveo mediante azione sui versanti: per questo servono gli accordi agroambientali d'area.
- Tavolo di confronto costante con gli amministratori e i portatori di interesse: per questo era stato istituito il contratto di fiume!
Inoltre, il decantato Ufficio speciale del Misa non si sta rivelando utile. Senza risorse economiche, né risorse umane aggiuntive a cosa serve? Rimane una semplice etichetta, mentre tutto il lavoro è sulle spalle del vice-commissario Babini il quale non può, da solo, gestire una situazione tanto complessa. In una articolata interrogazione che sarà presto discussa in Aula, il gruppo PD ha evidenziato 12 gravi criticità rispetto alle quali la Giunta è tenuta a fornire risposte precise e circostanziate.
A livello nazionale va richiesto quello che dovrebbe essere il minimo sindacale per qualsiasi stato di emergenza: innanzitutto, la certezza che il ristoro dei danni per privati e imprese sia totale, 100%, e non una quota parte che rischia di essere risibile; inoltre, assunzioni per i Comuni in modo tale da renderli in grado di intervenire efficacemente. Al momento, non ci sono coperture certe e congrue. L’ipocrisia del governo Meloni è stata svelata quando la maggioranza ha votato contro due emendamenti proposti dall’on. Augusto Curti, emendamenti nei quali si chiedeva di aumentare la dotazione finanziaria e prevedere un piano di assunzioni. Dalla Meloni e da Acquaroli molti proclami e promesse, ma pochi e assolutamente insufficienti fatti concreti.
Il Partito Democratico, le forze alleate, gli amministratori e i cittadini che hanno a cuore il territorio continueranno a vigilare e a fare proposte concrete per una vera ricostruzione, per la messa in sicurezza dai fiumi, per un ristoro giusto e in tempi certi.